Questo mese di febbraio abbiamo la fortuna di avere in squadra con noi un giovanissimo stagista. 16 anni. Sta facendo da noi lo stage per la scuola. Quando lo abbiamo accolto il primo giorno, ci siamo seduti al tavolo rotondo e abbiamo chiacchierato un momento su cosa significa essere designer. Ai ragazzi giovani, a cui manca ancora la formazione necessaria per fare questo lavoro, mi piace raccontare quali sono, secondo me, i prerequisiti per scoprire se si è naturalmente portati a diventare progettisti.

Supereroi?

Un designer non è certo un supereroe, non facciamo gli sbruffoni! Però è una persona che è bene abbia alcune caratteristiche, virtù o abilità che agevolano l’esercizio di questa professione. In che senso agevolano? Nel senso che aiutano a cogliere aspetti che possono essere persino determinanti per la buona riuscita di un progetto.

La brutta notizia è che nessuna scuola o ateneo allena gli studenti in questo senso. Almeno fino a qualche anno fa… magari, nel frattempo, sono anche cambiate le cose.

D’altro canto, il lato positivo è che queste capacità le possiamo sviluppare già prima di iniziare qualsiasi percorso di studi. E, in fondo, sono tutti aspetti che aiutano chiunque ad avere una marcia in più nella vita di tutti i giorni.

viso di persona con occhi chiusi e intenta a sentire ogni suono che può percepire

1 di 3: il super-udito

Ecco il primo requisito: il super-udito. Un bravo designer deve sentire di più, deve avere una spiccata capacità di ascolto, dove ascoltare vuol dire essere capace di sentire ciò che l’altra persona NON dice. Il designer, infatti, non si ferma alla superficie, ma va in profondità. Sempre. Son buoni tutti a rimanere in superficie, pochi invece imparano ad andare in profondità. Un designer deve imparare a farlo.

Quando parliamo con un committente, quindi, non ci limitiamo a raccogliere ciò che le sue parole dicono, ma ci mettiamo da subito in ascolto anche del suo linguaggio non verbale e paraverbale. Di che si tratta?
Sembra incredibile, ma comunichiamo molto più con i gesti e con il tono di voce che con le parole. La psicologia ci insegna, infatti, che ciò che viene percepito durante una comunicazione a parole è suddiviso più o meno in questo modo:

  • Espressioni facciali 55% (linguaggio non verbale)
  • Volume, ritmo e tono di voce 38% (linguaggio paraverbale)
  • Le parole solo 7%! (linguaggio verbale).

La comunicazione paraverbale, come del resto quella non verbale (che si riferisce al linguaggio del corpo), inviamessaggi spesso inconsapevoli e di tipo emotivo.
Attraverso la modulazione della voce e soprattutto con il nostro corpo, ogni persona comunica le sue emozioni, i suoi stati d’animo e le sue intenzioni.
Ok, ma a cosa serve tutto questo a un designer?

Capire e carpire

Allenare la capacità di interpretare il linguaggio non verbale e paraverbale, dà accesso al designer a tutta una serie di informazioni che si trasformano in scintilla per intuizioni e terreno fertile per far germogliare le idee.

Percepire nel nostro interlocutore, per esempio, un senso di insoddisfazione, ci fa capire che se tra le proposte di progetto ne presenteremo una che si discosta dai binari della richiesta iniziale, è facile che quella proposta avrà più probabilità di incontrare l’interesse del nostro cliente. Perché? Perché ha saputo leggere tra le righe quel bisogno non espresso a parole, ha saputo carpire ciò che ogni sottotesto disvela ai più accorti e ha saputo cogliere dove affondavano le radici del problema che siamo stati chiamati a risolvere.

Vale la pena allenare questa capacità? Più cose sentiamo, cogliamo ed elaboriamo, più abbiamo ingredienti per rendere la nostra ricetta appetitosa e il piatto che serviamo in tavola irresistibile. Un vantaggio non da poco, che tu sia designer oppure no.